Facebook può essere veicolo di istigazione a commettere reati con finalità di terrorismo, e per giunta aggravati dall’uso dello strumento telematico.
E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione in una ordinanza depositata il 3 novembre scorso.
La Corte, nell’analizzare la posizione di un soggetto che aveva realizzato diversi profili sul social Network californiano attraverso i quali lo stesso mostrava adesione ai principi propugnati dal sedicente Stato Islamico, è giunta alla conclusione che l’adesione a tali principi fosse chiaro indice dell’apologia ed istigazione al compimento di reati legati al terrorismo.
Il Supremo Collegio ha quindi ritenuto che l’azione posta in essere non fosse riconducibile ad una condotta di libera manifestazione del pensiero, da ritenersi lecita e penalmente non rilevante , quanto piuttosto ad una condotta di pubblica apologia, diretta ed idonea alla violazione delle leggi penali, potendosi pertanto configurare il più grave reato previsto dall’art 302 cod. pen. di istigazione a commettere il reato di cui all’art. 280 c.p. ( norma che prevede l’attentato con finalità di terrorismo funzionale a provocare la morte di più persone).
Con la decisione in esame la Cassazione ha fatto un ulteriore passo in avanti nella repressione dei reati compiuti attraverso la rete.
In precedenza ( a dicembre 2015) la prima sezione penale della Corte di Cassazione aveva infatti ritenuto che integrasse l’elemento soggettivo del delitto di cui all’art. 414 c.p. (Istigazione a delinquere), aggravato dalla finalità di terrorismo, la diffusione, su siti internet di libero accesso, di scritti, redatti in lingua italiana e rivolti ad un pubblico di soggetti radicati sul territorio nazionale, realizzati con stile incisivo e capaci di suscitare interesse e condivisione, che, data per presupposta la esecuzione di atti di terrorismo, esaltino la diffusione e l’espansione, anche con l’uso di armi, di una organizzazione terroristica.
La Cassazione in quest’ultima ordinanza ha invece qualificato le condotte adottate attraverso Facebook, come più gravi rispetto alla semplice istigazione a delinquere, ritenendo che tali attività fossero espressione del più grave reato previsto dall’art 302 del cod. pen.
Per questi motivi i Giudici di legittimità hanno rigettato il ricorso de libertate presentato dall’avvocato dell’imputato.