La Cassazione “dubita” dell’intelligenza artificiale
*di Fulvio Sarzana di S. Ippolito, Avvocato in Roma
Il possibile uso di sistemi di intelligenza artificiale “irrompe” in Cassazione, alimentando anche in quella sede la polemica nascente sulle cd allucinazioni generate dall’uso di sistemi di intelligenza artificiale.
Le allucinazioni dell’IA sorgono in contesti in cui le reti neurali e i modelli generativi producono risultati inaspettati, creativi e, in alcuni casi, al di fuori dei parametri prefissati.
Questi “sbalzi” nell’elaborazione dell’informazione da parte delle IA generano output imprevisti e talvolta fantasiosi, che possono apparire come ‘allucinazioni’ percepibili solo in ambito tecnologico.
Una sentenza della terza sezione penale della Corte di Cassazione pubblicata in questi giorni, sembra “accendere” la miccia delle polemiche, annullando con rinvio su richiesta dei difensori di un imputato per reati tributari, un provvedimento della Corte d’appello di Torino, che avrebbe avuto dei “buchi” motivazionali sospetti, o meglio, che avrebbe contenuto precedenti di legittimità mai affermati.
I difensori avevano affermato l’erronea interpretazione delle norme da parte della Corte territoriale e avevano sostenuto nel ricorso che “le pronunce di legittimità citate dalla sentenza impugnata a sostegno della propria tesi non erano state reperite dalla difesa, nonostante ricerche anche presso gli uffici della Suprema Corte”.
Nonostante dunque nessuno abbia pronunciato chiaramente la parola “intelligenza artificiale”, è sembrato evidente a tutti, ed in primo luogo allo stesso supremo consesso che si trattasse di un ulteriore caso, questa volta nell’esercizio dell’attività giurisdizionale, di un uso scorretto degli strumenti di intelligenza artificiale generativa.
A questa osservazione della difese la Cassazione ha infatti risposto che: “La Corte territoriale non si è posta in sintonia con gli orientamenti richiamati, facendo riferimenti a principi di legittimità non affermati o a sentenze di questa Corte inesatte nel numero riportato: da un lato, è errato sostenere che il reato di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti si perfezioni al momento dell’inserimento della fattura nella contabilità aziendale; dall’altro, è ambiguo ed incoerente affermare che il momento consumativo del reato coincida con l’annotazione in contabilità e la dichiarazione fiscale, trattandosi di due momenti cronologicamente distinti, rappresentando il primo (annotazione in contabilità) un fatto prodromico ed il secondo (presentazione della dichiarazione fiscale) il momento consumativo del reato, momento quest’ultimo nel quale deve peraltro sussistere l’elemento soggettivo del reato.”
Per questi motivi la Corte ha rinviato alla Corte d’appello, in diversa composizione, per integrare le lacune motivazionali citate.
La Cassazione dubita dell’intelligenza artificiale
