La Corte Suprema del Messico (SCJN) si è espressa, a metà di aprile del 2017, sulla costituzionalità degli ordini di inibizione attraverso gli internet service provider (ISP) per la violazione del diritto d’autore.
La vicenda portata all’attenzione della Corte ha avuto origine nel 2015, quando l’Istituto messicano di proprietà industriale (IMPI), una Autorità amministrativa indipendente di nomina governativa, ha ordinato all’internet service Provider Alestra di bloccare l’accesso al sito web mymusiic.com per la violazione del diritto d’autore.
Secondo l’Autorità Amministrativa indipendente, il sito in questione, ancorchè residente all’estero, era raggiungibile anche da un pubblico Messicano ed aveva consentito lo streaming ed il downloading di brani musicali, senza che vi fosse l’autorizzazione dei titolari dei diritti.
L’ISP ha impugnato l’ordine in Tribunale.
Tra le altre cose, la difesa sosteneva che l’ordine era troppo ampio, in quanto limitava l’accesso alla musica presente sul sito che avrebbe potuto essere del tutto legale.
Alcuni giorni fa il caso è stato discusso dalla Corte Suprema di Giustizia, che ha stabilito che l’ordine dell’Autorità Amministrativa è sproporzionato ed è in grado di violare i principi della libertà di espressione.
La legge messicana consente di bloccare un sito attraverso ordini ai provider ma, secondo la Corte Suprema, questi devono essere mirati a contenuti specifici anziché al sito web nel suo complesso e rivolgersi esclusivamente nei confronti di chi edita i contenuti.
“Sebbene tali misure di blocco siano previste dalla legge e perseguano un legittimo scopo, il fatto è che non soddisfano i requisiti della necessità e della proporzionalità poiché le restrizioni al diritto di espressione devono riferirsi a contenuti specifici”, ha affermato il ministro ( che equivale ad un giudice costituzionale italiano) presso la Suprema Corte Alberto Perez Dayán.
“Quindi gli obblighi di inibizione sull’intero sito web possono violare il diritto umano della libertà di espressione”, ha aggiunto.
Secondo la Corte ” il blocco totale del sito implica la censura non solo dei contenuti generati dallo stesso amministratore, proprietario o responsabile del sito web, ma anche l’intero flusso di informazioni e di espressioni che possono derivare dalla condivisione dei files eseguite dagli utenti”.
L’ampia richiesta ordinata da IMPI quindi -a detta della Corte Suprema- equivale alla censura e vìola la Costituzione.
Con questa decisione della Corte Suprema, sarà molto difficile per le Autorità, o ai titolari dei diritti di richiedere simili blocchi in futuro.