La Corte di Cassazione dice basta alle chiamate continue dei call center sui cellulari a scopi pubblicitari.
Il Supremo Collegio chiarisce, con la sentenza n. 2196/2016 della prima sezione civile, depositata il 4 febbraio, i limiti delle chiamate “mute” e di quelle con operatore a scopo pubblicitario.
Quanto alle chiamate mute a fini pubblicitari, secondo la Corte il loro uso non rientra “nei canoni della correttezza pertinenza e non eccedenza rispetto alle finalità del loro utilizzo”, con cui vanno gestiti i dati personali ai sensi degli artt. 4 e 11 del Codice della Privacy.
Ciò significa che, per le chiamate “mute” del call center, che si verificano quando l’azienda di telemarketing dispone la chiamata in modo automatico e poi connette un operatore dopo un certo periodo di tempo, occorre comunque il consenso esplicito del titolare della linea fissa o mobile.
Inoltre la Corte ha stabilito che il principio dell’opt-out, ovvero il fatto che il consenso dell’utente si presume, se lo stesso è inserito in un elenco abbonati, vale solo per le linee fisse, e non per le utenze mobili, e mai, come si diceva, nelle chiamate automatiche senza operatore.
Quanto alle attività di telemarketing consentite la Corte ha specificato che la deroga al consenso espresso dell’utente ex art. 130, comma 3-bis del codice privacy, che trae origine dalla Normativa comunitaria, è applicabile solo ai dati personali pubblicati negli elenchi degli abbonati ai servizi di telefonia.
In questo caso si può ritenere che il trattamento dei dati sia consentito a prescindere dal consenso preventivo dell’interessato, salvo ovviamente il diritto di opposizione attraverso l’iscrizione nell’apposito registro.
L’inedito provvedimento della Cassazione costituisce una vera e propria “rivoluzione” nella giungla delle chiamate pubblicitarie indesiderate, ed apre la strada ad una maggiore tutela dei cittadini e delle imprese di fronte ai Tribunali o al Garante Privacy.