Il testo sul cyberbullismo contrasta l’hate speech, ma non aiuta la tutela della reputazione on line o la difesa dei contenuti sessuali illecitamente diffusi.

foto camera

La Camera dei Deputati ha licenziato il nuovo testo sul cyberbullismo oramai da qualche settimana.

La parola passerà ora al Senato per la seconda lettura del testo.

La “Camera Alta” del parlamento Italiano dovrebbe iniziare a discutere la norma ( referendum costituzionale e sessioni di bilancio permettendo), ai primi di dicembre.

Le ipotesi sul campo su quello che accadrà in Senato sono due: affossamento del testo da parte della maggioranza o tentativo di modifica in extremis per riportarlo al testo originario.

Un tentativo, quest’ultimo, che appare difficile perché  scatenerebbe un nuovo  un ping pong legislativo con la Camera dei Deputati.

Certo è che la norma, profondamente rimaneggiata dalla Camera, così com’è sembra scontentare un po’ tutti.

In particolare la difficile definizione normativa sembra limitare l’ambito di applicazione della norma al punto di escluderne gli atti sessuali liberi e consenzienti diffusi all’insaputa della vittima.

Le modifiche apportate all’art 1 del DDL sembrano infatti impedire a colui che è vittima di ricatti o di diffusione di immagini attinenti la sfera sessuale di poter ottenere la rimozione dei contenuti su internet.

La norma infatti penalizza i comportamenti di aggressione politica, razziale, religiosa, e i dati idonei a rivelare l’orientamento sessuale.

Ma non l’attività sessuale in sé.

Questo potrebbe rendere vane le richieste di cancellazione di minori e maggiorenni per i casi che abbiamo letto in questi giorni, e che sono stati l’humus emotivo che ha fatto da sfondo all’approvazione della norma.

Anche la tutela della reputazione on line sembra essere depotenziata nella norma dal momento che l’offesa in base alla quale si può richiedere la rimozione dei contenuti deve sempre avere ad oggetto una attività in grado di generare ansia  “per ragioni di etnia, lingua, religione, orientamento sessuale, aspetto fisico, disabilità o altre condizioni personali e sociali della vittima.”

Le fattispecie delineate dalla norma sembrano quindi indirizzare la tutela nei confronti non dei minori o dei maggiorenni vittime di ricatti sessuali ( cd revenge porn o violazione della privacy sessuale), bensì nella tutela di chi si senta danneggiato in rete da offese scritte o verbali che riguardino le ragioni citate in precedenza, in breve nel cd hate speech.

@fulviosarzana