La Corte Europea dei diritti dell’uomo ha emesso, in data odierna, una sentenza nella quale ritiene proporzionata e non eccessiva, la sanzione della reclusione ( ancorchè con pena sospesa) ed il sequestro di laptop e computer, in caso di insulti attraverso internet.
La vicenda riguardava alcuni commenti critici sulla popolazione serba inseriti nel 2010 da un Avvocato Bosniaco all’interno di un forum pubblico.
Il fatto aveva poi portato alla custodia cautelare dello stesso avvocato ed a un successivo procedimento penale nel quale l’imputato era stato riconosciuto colpevole nel 2012 di incitamento all’odio etnico, razziale e religioso, e condannato ad una pena detentiva sospesa di un anno.
Nel corso del procedimento al legale erano stati sequestrati anche il computer ed il laptop.
Secondo la Corte europea i tribunali nazionali hanno esaminato con cura il caso del sig. Smajić per quanto riguarda la sua denuncia riguardo alla violazione della libertà di espressione.
Le decisioni dei Tribunali nazionali sono conformi ai principi dell’articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, secondo cui, tra l’altro, “ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera”.
Nel caso di specie i Tribunali nazionali non hanno ravvisato interferenze con i diritti alla libera espressione dell’imputato, fornendo, a detta della Corte, motivazioni pertinenti e sufficienti per la sua condanna.
La Corte ha quindi ritenuto che i contenuti dei post di Smajić, anche se scritti in forma ipotetica, avevano toccato la questione sensibile delle relazioni etniche nella società bosniaca postbellica.
Inoltre, le sanzioni imposte, che erano parse eccessive anche in riferimento ai diritti di difesa lesi nella fase preliminare delle indagini, vale a dire la detenzione preventiva e la reclusione al termine del procedimento, così come il sequestro del portatile e del computer, non devono, a detta della Corte, ritenersi sproporzionate.
La Corte ha quindi dichiarato il ricorso manifestamente infondato e la domanda irricevibile.