Ne bis in idem tra sanzioni amministrative e penali (e privacy) : ma le Corti non lo riconoscono mai.

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Tra le questioni che più appassionano i giuristi da tre anni a questa parte ( dalla sentenza della Corte di giustizia del 2014 nel caso Grande  Stevens), vi è quella della compatibilità tra le sanzioni amministrative aventi natura sostanzialmente penale, e le sanzioni penali stesse.

Vi sarebbe, secondo parte della dottrina, un “Ne bis in idem” che giustificherebbe la necessità di applicare una sola sanzione, e non entrambe.

Questa sarebbe la ragione ad esempio per la quale nell’emanando decreto di adeguamento del Regolamento europeo privacy (GDPR) non troverebbe più spazio la sanzione penale prevista dall’art 167 codice privacy.

Va subito detto che si tratta di un problema eminentemente dottrinario in quanto la Suprema Corte di Cassazione, seguita dalle Corti di merito, sistematicamente boccia, seppur con diverse argomentazioni giuridiche, l’invocato vizio del Ne bis in idem.

Il problema è sorto principalmente in riferimento alle pronunce in ambito tributario, a quelle relative alle inibizioni di siti internet ed alle sanzioni irrogate dalla CONSOB.

In questo ultimo filone si inserisce una sentenza recentissima della Cassazione che, nel rigettare per l’ennesima volta l’invocato vizio del ne bis in idem  ha cosi statuito:

“Questa Corte ha, invero, osservato – al riguardo – che i principi convenzionali enunciati dalla Corte EDU nella sentenza 4 marzo 2014 (Grande Stevens ed altri c/o Italia) – secondo la quale l’avvio di un procedimento penale a seguito delle sanzioni amministrative comminate sui medesimi fatti violerebbe il principio del «ne bis in idem» – non possono indurre a ritenere che una sanzione, qualificata come amministrativa dal diritto interno, abbia sempre ed a tutti gli effetti natura sostanzialmente penale, con conseguente irrilevanza anche di un’eventuale questione di costituzionalità ai sensi dell’art. 117 Cost.

Orbene, le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla CONSOB ai sensi degli artt. 190 e ss. del d.lgs. n. 58 del 1998 (cd. TUF) non sono equiparabili, quanto a tipologia, severità, incidenza patrimoniale e personale, a quelle inflitte ai sensi dell’art. 187-ter del TUF per manipolazione del mercato, sicché esse non hanno la natura sostanzialmente penale che appartiene a queste ultime, né pongono un problema di compatibilità con le garanzie riservate ai processi penali dall’art. 6 CEDU, in particolare quanto alla violazione del «ne bis in idem» tra sanzione penale ed amministrativa comminata sui medesimi fatti.”

La Corte poi ricorda quanto affermato dalla sentenza della Corte di Giustizia sez. IV, sentenza 04/04/2017 n° C-217/15 ovvero che l’articolo 50 della Carta trova immediata attuazione, così vietando l’applicazione della “doppia sanzione” penale e tributaria, nella sola ipotesi in cui a commettere il fatto sia la stessa persona, e quindi, nell’ipotesi in cui lo stesso soggetto sia sottoposto a sanzione e procedimento penale.

L’articolo 50 trova applicazione, secondo la costante giurisprudenza citata dalla Corte, unicamente allorquando sia la stessa persona ad essere sanzionata più volte e per lo stesso comportamento illecito.

Diverso problema è quello del ne bis in idem processuale, risolto recentemente  dalla sentenza della Corte di Strasburgo (CEDU),  sentenza del 15 novembre 2016 contro Norvegia, ed applicato recentissimamente anche dalla nostra Consulta.

Per la Consulta, dopo la sentenza del 15 novembre 2016 contro Norvegia della CEDU, non sussiste più tale divieto di BIS IN IDEM Processuale, se ricorrono le due condizioni della temporalità e della materialità

Precisamente, si può svolgere il secondo processo, se la ipotetica sanzione penale applicabile sarebbe modesta o in linea con il fine proseguito di punibilità, anche considerando la sanzione tributaria già sofferta con il primo processo concluso (legame materiale).

Contemporaneamente deve esserci anche il legame  temporale (processi quantomeno consecutivi).

@fulviosarzana