Cassazione su diffamazione via PEC

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La Corte di Cassazione è intervenuta in una sentenza depositata agli inizi di dicembre del 2020 sul reato di diffamazione aggravata compiuta attraverso il mezzo della posta elettronica certificata (PEC).

La diffamazione è un reato previsto dall’articolo 595 del codice penale con il quale si punisce chi reca offesa alla reputazione di una persona non presente.

Le pene possono arrivare fino a 3 anni di reclusione e 2.000 euro di multa.

La diffamazione, a differenza dell’ingiuria (depenalizzata dal 2016), si configura come un’offesa all’onore compiuta in assenza della persona denigrata.

Il codice penale specifica come la diffamazione per essere tale deve essere comunicata a più persone.

Secondo il Supremo Collegio l’utilizzo della posta elettronica certificata non esclude la sussistenza del requisito della comunicazione con più persone anche nell’ipotesi di diretta ed esclusiva destinazione del messaggio diffamatorio ad una sola persona determinata, quando l’accesso alla casella mail sia consentito almeno ad altro soggetto, ai fini della consultazione, estrazione di copia e di stampa, e tale accesso plurimo sia noto al mittente o, quantomeno, prevedibile secondo l’ordinaria diligenza.

L’ipotesi  accade, ad esempio, in ipotesi di trasmissione di un messaggio di posta elettronica al responsabile di un pubblico ufficio per motivi inerenti la funzione svolta che, per necessità operative del servizio o dell’ufficio, non resta riservato tra il mittente ed il destinatario ed è, pertanto, destinato ad essere visionato da più persone, salva l’esplicita indicazione di riservatezza.

In tal caso, la modalità di trasmissione a mezzo mail in nulla si distingue dall’ordinario inoltro per posta ordinaria, in busta chiusa non recante la dicitura “riservata – personale”, essendo la comunicazione originata da ragioni di ufficio destinata a essere conosciuta anche dagli addetti all’apertura e smistamento della corrispondenza  o a successivi destinatari, competenti per le fasi del procedimento amministrativo al quale la comunicazione medesima abbia dato avvio.

E tale destinazione “in incertam personam” riguarda, all’evidenza, anche gli allegati ad una nota di trasmissione, che con quest’ultima si integrano per relationem, avendone il mittente fatto proprio il contenuto.

Le caratteristiche della PEC non escludono ex se la potenziale accessibilità a terzi, diversi dal destinatario, delle comunicazioni, attenendo la certificazione ai soli elementi estrinseci della comunicazione (data e ora di ricezione), e non già alla esclusiva conoscenza per il destinatario della e-mail originale. Nondimeno, l’utilizzazione della PEC richiede un rafforzato onere di giustificazione riguardo l’elemento soggettivo del reato di diffamazione, in specie relativamente alla prevedibilità in concreto dell’accessibilità di terzi al contenuto dichiarativo, laddove il mittente opti per siffatto tipo di comunicazione proprio al fine della prova della ricevuta, avente valore legale, da parte del destinatario.

Indici rivelatori, in tal senso, possono essere desunti dalla conoscenza delle prassi in uso al destinatario, ovvero dalla natura stessa dell’atto, se destinato all’esclusiva conoscenza del medesimo o se, invece, finalizzato all’attivazione di poteri propri di quest’ultimo che, necessariamente, implichino l’accessibilità delle informazioni da parte di terzi.

@fulviosarzana