Violazioni sul software solo con la vendita

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La violazione del diritto d’autore sul software, basata sulla vendita, deve essere provata, perchè in caso contrario l’imputato deve essere assolto.

E’ quanto stabilito dalla Corte di Cassazione in una sentenza della fine di dicembre del 2020.

La vicenda riguardava l’impugnazione davanti al Supremo Collegio di una sentenza della Corte di appello di Roma  che confermava la pronuncia del Tribunale di Roma in materia di reati relativi alla violazione del diritto d’autore.

In particolare la Corte territoriale, applicate le circostanze attenuanti generiche, aveva condannato  l’imputato alla pena di quattro mesi di reclusione per il delitto di cui all’art. 171-ter lett. f) I. n. 633 del 1941, a lui ascritto per aver posto in vendita una scheda  atta ad eludere i sistemi di protezione delle consolle per l’utilizzazione di software ( nella fattispecie si trattava di videogiochi)  illecitamente duplicati.

Secondo la ricorrente, la Corte territoriale avrebbe erroneamente ravvisato la violazione del diritto di autore, unicamente perché la scheda era finalizzata a rendere possibile l’elusione delle misure di protezione di cui all’art. 102-quater I. n. 633 del 1941, ma senza considerare: che la scheda non è stata sottoposta ad alcun accertamento tecnico; che non vi è prova che l’imputata fosse consapevole dell’illiceità della vendita della scheda; che detta scheda ha numerosi metodi di impiego del tutto leciti. Nella specie, non vi sarebbe prova della finalità prevalentemente elusiva dei sistemi di protezione tecnologica , anche alla luce della Direttiva 2001/29/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, che sancisce il rispetto del principio di proporzionalità, e che, all’art. 6, capo III, n. 2b), stabilisce che gli Stati membri devono prevedere un’adeguata protezione giuridica contro l’elusione di efficaci misure tecnologiche, qualora tali  sistemi non abbiano altro finalità o uso commerciali rilevante oltre a quello di eludere tali misure. Sotto altro profilo, la motivazione sarebbe illogica, laddove, per un verso, ha affermato che la detenzione della scheda era destinata all’esigenza di avere la disponibilità di opere facilmente riproducibili all’interno dell’esercizio commerciale, e, per altro verso, non è stata rinvenuta alcuna opera riprodotta illegalmente.

La Corte ha così statuito “Il terzo motivo è fondato. Da quanto emerge dalla sentenza impugnata, “la console in questione esposta per la vendita poteva essere utilizzata per giocare con videogiochi non originali” e, ad avviso della Corte, “la detenzione accertata può essere spiegata con l’esigenza dell’imputata (titolare del negozio) di avere l’immediata disponibilità di opere che potevano essere agevolmente riprodotte nella sede del proprio esercizio commerciale”. Si tratta di affermazioni logicamente contraddittorie, perché, da un lato, si sostiene che la consolle fosse esposta per la vendita, essendo finalizzata a consentire l’utilizzo di videogiochi non originali, e, dall’altro, si afferma che la detenzione di quella stessa consolle era spiegabile con l’esigenza della titolare di avere l’immediata disponibilità di opere abusivamente riprodotte presso l’esercizio commerciale, ciò che, implicando l’utilizzo della scheda da parte dell’imputata, evidentemente non si concilia logicamente con la finalità di vendita”.

La Cassazione ne trae il convincimento dell’annullamento della sentenza di condanna che non viene pronunciata perchè  nel frattempo il reato si è estinto per prescrizione.

@fulviosarzana