Orientamenti sessuali e comunicazione via Facebook con terzi: è diffamazione

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L’attribuzione di orientamenti sessuali su Facebook può costituire diffamazione e a nulla rileva che determinate espressioni effettuate in pubblico  abbiano perso il carattere dispregiativo per una presunta “evoluzione” della coscienza sociale.

E’ quanto statuito dalla quinta sezione penale della Corte di Cassazione in una sentenza del 17 maggio 2021.

La vicenda portata all’attenzione della Suprema Corte traeva origine da una sentenza della Corte d’appello di Milano che,   confermando la decisione di primo grado,  aveva condannato la transessuale Bal Efe per diffamazione in danno della parte offesa.

L’imputato aveva proposto ricorso per Cassazione.

Secondo la Cassazione “L’imputato, transessuale esercente la prostituzione, aveva, comunicando con più persone attraverso Facebook, sostenuto la presunta omosessualità  (della parte offesa ndr.) nonché di aver intrattenuto con un lui un rapporto sessuale.

La Corte ha ritenuto  il ricorso  inammissibile per manifesta infondatezza.

La Cassazione ha statuito che “In base alla consolidata giurisprudenza di questa Corte – ostentatamente ignorata dal ricorrente – la competenza per territorio per il reato di diffamazione, commesso mediante la diffusione di notizie lesive dell’altrui reputazione allocate in un sito della rete “Internet”, va determinata in forza del criterio del luogo di domicilio dell’imputato, in applicazione della regola suppletiva stabilita dall’art. 9, comma secondo, cod. proc. pen.

Immune da censure, pertanto, è la decisione del giudicante, che ha tenuto conto, per valutare la competenza, del domicilio dell’imputato, che vive stabilmente a Milano e ivi esercita la propria attività.

Destituita dì ogni fondamento è l’affermazione, contenuta in ricorso, che le espressioni imputate a Bal Efe abbiano perso il carattere dispregiativo ad esse attribuito dal giudicante, per una presunta “evoluzione” della coscienza sociale (motivi 2 e 4).

Le suddette espressioni costituiscono invece, oltre che chiara lesione dell’identità personale, veicolo di avvilimento dell’altrui personalità e tali sono percepite dalla stragrande maggioranza della popolazione italiana, come dimostrato dalle liti furibonde innescate – in ogni dove – dall’attribuzione delle qualità sottese alle espressioni di cui si discute e dal fatto che, nella prassi, molti ricorrono – per recare offesa alla persona – proprio ai termini utilizzati dall’imputato.

La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, comma terzo, cod. pen., sotto il profilo dell’offesa arrecata “con qualsiasi altro mezzo di pubblicità” diverso dalla stampa, poiché la condotta in tal modo realizzata è potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone, anche se non può dirsi posta in essere “col mezzo della stampa”, non essendo i social network destinati ad un’attività di informazione professionale diretta al pubblico.

Correttamente, pertanto, è stata ritenuta integrata, nella specie, l’ipotesi aggravata di cui al terzo comma dell’art. 595 cod. pen., trattandosi di comunicazione avvenuta con un social di ampia diffusione.

@fulviosarzana