Il Regolamento AGCOM sul diritto d’autore e la Corte Costituzionale. La possibile incostituzionalità delle norme di recepimento del Commercio Elettronico.

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La Corte Costituzionale Italiana   si esprimerà nei prossimi giorni sulla costituzionalità delle norme alla base dell’attività dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, affrontando in particolare le norme italiane di recepimento della Direttiva  UE 31/2000,  in tema di commercio elettronico.

In particolare è stata sottoposta alla Corte la possibile Illegittimità Costituzionale degli  artt. 5, comma 1, 14, comma 3, 15, comma 2, 16, comma 3, D.Lgs. n. 70/2003,  che recepiscono la direttiva sul commercio elettronico, per violazione dei principi di ragionevolezza, proporzionalità e contraddittorietà, e per un possibile contrasto delle stesse norme con  agli articoli 21, commi 2 e seguenti, 24 e 25, comma 1, della Costituzione.

La prima norma sottoposta allo scrutinio costituzionale è l’art 5 ,  comma 1,   del d.lgs. 9 aprile 2003, n. 70, che consentirebbe alle Autorità Amministrative ( senza specificare quali) poteri inibitori.

Il primo punto da verificare è se il Legislatore Italiano, nel recepire le norme oggi soggette allo scrutinio Costituzionale, ,  si sia attenuto pedissequamente al dettato legislativo Comunitario, ovvero sia andato  al di là di quanto previsto dalla Direttiva 31/2000,  determinando un possibile contrasto con l’art. 76 della Costituzione, che fissa i limiti oltre cui non può spingersi la disciplina dettata da un decreto legislativo.

Questo in quanto se nel suo provvedimento il Governo eccede spazialmente l’ambito di intervento che è stato delineato dalla legge delega, esso non viola soltanto quest’ultima ma anche, attraverso il meccanismo del parametro costituzionale interposto, la disposizione costituzionale (l’art. 76, per l’appunto) che definisce il contenuto obbligatorio della legge di delega e l’obbligo per l’Esecutivo di attenersi ad esso.

Il decreto legislativo 70 del 2003, sembra innazitutto oltrepassare i limiti della delega, quindi macchiarsi del vizio di eccesso di delega, legiferando al di fuori di quanto oggetto di regolazione da parte della direttiva  31/2000.

La disposizione italiana, nell’introdurre poteri di intervento repressivo in tema di diritti fondamentali, a beneficio di Autorità Amministrative, si discosta sensibilmente da quanto stabilito dal Legislatore Comunitario, finendo per violare palesemente i principi di ragionevolezza e proporzionalità che devono sorreggere la discrezionalità del nostro legislatore, entrando in rotta di collisione con i principi fondanti della tutela giudiziale e dei principi del diritto di difesa.

Cosi peraltro si è espressa la Dottrina più attenta: “Del resto, se davvero il d.lgs. 70 del 2003 avesse voluto introdurre ex novo un generale potere amministrativo inibitorio a fronte di ogni pubblicazione di materiali in qualunque modo illecito (nessun specifico riferimento o limitazione vi è, difatti, alle violazioni dei diritti d’autore), dovremmo concludere per la illegittimità costituzionale, per eccesso di delega, del decreto: quest’ultimo era chiamato, dalla legge delega, a dare attuazione alla direttiva 2000/31/CE, che, come abbiamo visto, non prevedeva affatto l’introduzione di un nuovo generale potere inibitorio, ma semmai mirava a tutelare la posizione del prestatore di servizi a fronte del rischio di essere sempre ritenuto corresponsabile di altrui illeciti, pur ammettendo (in via di parziale attenuazione del generale principio di c.d. net neutrality)  la conservazione di alcuni poteri inibitori,; in altri termini, in una simile ipotesi, risulterebbe violato il criterio di delega generale di assicurare «in ogni caso che, nelle materie trattate dalle direttive da attuare, la disciplina disposta sia pienamente conforme alle prescrizioni delle direttive medesime». Cosi, Francesco Goisis, L’esecuzione delle decisioni dell’AGCOM di repressione delle violazioni del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica tra diritto nazionale e principi convenzionali europei. Relazione al Convegno,    L’enforcement amministrativo dei diritti d’autore ed il regolamento Agcom, 16 Maggio 2014.

Vediamo in cosa consiste questa difformità.

La norma impugnata davanti alla Corte dovrebbe recepire pedissequamente quanto previsto dall’articolo 3, della Direttiva 2000/31, “Direttiva sul commercio elettronico“, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno.

Il citato art. 3 così dispone:

“1. Ogni Stato membro provvede affinché i servizi della società dell’informazione, forniti da una prestatore stabilito nel suo territorio, rispettino le disposizioni nazionali vigenti in detto Stato membro nell’ambito regolamentato.

  1. Gli Stati membri non possono, per motivi che rientrano nell’ambito regolamentato, limitare la circolazione dei servizi dell’informazione provenienti da un altro Stato membro.
  2. I paragrafi 1 e 2 non si applicano ai settori di cui all’allegato.
  3. Gli stati membri possono adottare provvedimenti in deroga al paragrafo 2, per quanto concerne un determinato servizio della società dell’informazione, in presenza delle seguenti condizioni:

a)i provvedimenti sono:

  1. i) necessari per una delle seguenti ragioni:

– ordine pubblico, in particolare per l’opera di prevenzione, investigazione individuazione e perseguimento in materie penali, quali la tutela dei minori e la lotta contro l’incitamento all’odio razziale, sessuale, religioso o etnico, nonché violazioni della dignità umana della persona;

– tutela della sanità pubblica;

– pubblica sicurezza, compresa la salvaguardia della sicurezza, e della difesa nazionale:

– tutela dei consumatori, ivi compresi gli investitori:

  1. ii) relativi a un determinato servizio della società dell’informazione lesivo degli obiettivi di cui al punto i) o che costituisca un rischio serio e grave di pregiudizio a tali obiettivi;

iii) proporzionati a tali obiettivi;

  1. b) prima di adottare i provvedimenti in questione e fatti salvi i procedimenti giudiziari, anche istruttori, e gli atti compiuti nell’ambito di un’indagine penale, lo Stato membro ha:

– chiesto allo Stato membro di cui al paragrafo 1 di prendere provvedimenti e questo non li ha presi o essi no erano adeguati;

– notificato alla Commissione e allo Stato membro di cui al paragrafo 1 la sua intenzione di prendere tali provvedimenti.”

Continua poi al punto 5 del medesimo articolo:

“5. In caso di urgenza, gli Stati membri possono derogare alle condizioni di cui al paragrafo 4, lettera b). I provvedimenti vanno allora notificati al più presto alla Commissione e allo Stato membro di cui al paragrafo 1, insieme ai motivi dell’urgenza.

  1. Salva la possibilità degli Stati membri di procedere con i provvedimenti in questione, la Commissione verifica con la massima rapidità la compatibilità dei provvedimenti notificati con il diritto comunitario; nel caso in cui giunga alla conclusione che i provvedimenti sono incompatibili con il diritto comunitario, la Commissione chiede allo Stato membro in questione di astenersi dall’adottarli o di revocarli con urgenza.”

Come si nota questa norma prevede una soluzione al conflitto tra Stati che decidessero di limitare per ragioni di politica interna, il commercio elettronico comunitario.

La disposizione Comunitaria,  non sembra confliggere in alcun modo con i principi stabiliti dalla nostra Costituzione, sia perché fa salvi i procedimenti giudiziari ordinari in sede penale,  sia perché la stessa non attribuisce in alcun modo ad una autorità Amministrativa, la possibilità di intervenire sui diritti fondamentali, prevedendo un semplice rimedio tra  Stati,  dietro l’attivazione di una procedura ad hoc, qualora uno Stato membro ritenga di limitare la libera circolazione del commercio elettronico legale  in ambito comunitario.

Vediamo come è stata trasposta la norma in Italia.

 

 “Art 5. comma 1:

 La libera circolazione di un determinato servizio della società dell’informazione proveniente da un altro Stato membro può essere limitata, con provvedimento dell’autorità giudiziaria o degli organi amministrativi di vigilanza o delle autorità indipendenti di settore, per motivi di:

  1. ordine pubblico, per l’opera di prevenzione, investigazione, individuazione e perseguimento di reati, in particolare la tutela dei minori e la lotta contro l’incitamento all’odio razziale, sessuale, religioso o etnico, nonché contro la violazione della dignità umana;
  2. tutela della salute pubblica;
  3. pubblica sicurezza, compresa la salvaguardia della sicurezza e della difesa nazionale;
  4. tutela dei consumatori, ivi compresi gli investitori.”

La norma delegata, così strutturata, introduce   principi del tutto assenti nella normativa   Comunitaria, ed anzi si pone in conflitto con essa, violando formalmente  il parametro  costituzionale interposto e stabilendo principi incompatibili con le disposizioni di cui all’art 24, II comma e 25 della Costituzione.

In particolare, il legislatore italiano, all’interno dell’art.5, co. 1, così come negli artt. 14, co. 3, 15, co. 2, e 16, co. 3, d.lgs. 9 aprile 2003, ha impropriamente attribuito poteri giurisdizionali ad organi amministrativi,   (poteri già ampiamente previsti da norme positive civili e penali), ignorando arbitrariamente i principi generali del nostro ordinamento e la stessa disciplina Comunitaria, che assegnano solo  al Giudice il potere di limitare, in determinate ipotesi e circostanze, i diritti fondamentali.

La disciplina Comunitaria non aveva in alcun modo stabilito questi principi: basta leggere l’articolo 18 della stessa Direttiva, rubricato “Ricorsi giurisdizionali”, che il Legislatore Italiano si è “dimenticato” di inserire nella regolamentazione delegata:

 “ 1. Gli Stati membri provvedono affinché i ricorsi giurisdizionali previsti dal diritto nazionale per quanto concerne le attività dei servizi della società dell’informazione consentano di prendere rapidamente provvedimenti, anche provvisori, atti a porre fine alle violazioni e a impedire ulteriori danni agli interessi in causa.”

Nella disciplina Comunitaria si parla sempre e solo di Giudici.

In quindici anni di esistenza della Direttiva sul Commercio Elettronico del resto nessun Paese del 28 appartenenti all’Unione ha recepita la norma attribuendo ad Autorità Amministrative il potere inibitorio.

Ci sarà un perché!

Il legislatore delegato, in evidente contrasto con quanto previsto, ha creato invece  una norma ultrattiva rispetto al Commercio comunitario, assegnando ad una Autorità ( che peraltro  non è l’AGCOM) poteri  Amministrativi equivalenti a quelli giurisdizionali di inibizione, peraltro su siti esteri che non appartengono all’Unione Europea.

Dunque il legislatore Italiano nel recepire la direttiva sul commercio elettronico, e, segnatamente l’art 5, oggi posto all’attenzione della Corte, ha violato con certezza  i principi di ragionevolezza  e discrezionalità normativa, sostituendo una norma diretta a favorire il commercio interstatale, dietro l’attivazione della procedura di cui all’art. 4 della medesima Direttiva, con una diversa norma, attributiva di poteri penetranti sui diritti fondamentali, al di fuori dei principi fondanti del nostro ordinamento.

@fulviosarzana